Davide

Mielomeningocele, idrocefalo e Arnold Chiari II

“…lo sapete vero che vostro figlio ha la spina bifida?…” “…è il caso più grave che abbia mai visto in 23 anni di carriera…”

È il 02 settembre 2014 data del 3° compleanno della nostra secondogenita e giorno che non dimenticheremo mai. Ci troviamo nella sala d’attesa di una clinica convenzionata e attendiamo il nostro turno per effettuare la visita morfologica del 5° mese mentre sgranocchiamo bibanesi interrogandoci su quale auto acquistare. Quella che abbiamo infatti è piccola ed ora con l’arrivo del terzo figlio tra seggiolini, passeggini e borse varie non ci stiamo più.

Le altre due gravidanze erano andate via lisce così come le ecografie fatte a questo nostro terzo figlio.

Sapevamo che era un maschio ed era partito il toto nome come avvenuto le altre volte. Quel giorno però accadde qualcosa che nessun genitore vorrebbe mai sentirsi dire, tuo figlio non sta bene, anzi da quanto ci dice la dottoressa è il caso più grave mai visto nella sua carriera. Mio marito, mi racconterà più tardi, in quel momento sentì le gambe mancargli e non crollò a terra solo perché era seduto, io invece stesa sul lettino sentii il fiato mancarmi ed un senso di impotenza.

La dottoressa, dall’aria scocciata, chiamò subito l’ospedale di Treviso e ci licenziò dandoci un biglietto con la dicitura da far riportare dal nostro medico di base sull’impegnativa per una ecografia urgente di secondo livello.

Noi uscimmo e sul parcheggio esterno ci abbracciammo e piangemmo insieme. Tornati a casa pensammo che la cosa migliore fosse quella di spiegare ai nostri figli, con parole semplici, quello che stava succedendo al loro fratellino. Spiegammo loro che aveva un buchino sulla schiena e che, da quanto capito, non avrebbe mai camminato e non avrebbe mai potuto usare la bicicletta di legno senza pedali che loro avevano usato e che avevamo assieme levigato e riverniciato durante l’estate per lui.

Il nostro figlio maggiore, di 5 anni, ci guardò e disse “beh tanto noi gli vogliamo bene lo stesso” e avvicinandosi a me accarezza la pancia e le dà un bacio. La piccolina osservava con attenzione i movimenti del fratellone e lo imitò dando un bacio ed una carezza al pancione. Ecco loro avevano già capito nella loro semplicità ed innocenza di bambini che il fatto che il loro fratellino non avrebbe potuto camminare e non sarà un problema.

Il giorno seguente andammo in ospedale per l’ecografia di secondo livello. Qui una dottoressa si presentò e chiese anche a noi di fare altrettanto. Guardandoci, con molta dolcezza e tatto, ci chiede cosa vogliamo fare,  proseguire la gravidanza o interromperla. Io sentii un brivido corrermi lungo la schiena e guardando mio marito rispondemmo insieme che la nostra intenzione era quella di andare avanti. Per noi un figlio è un figlio. Alla nostra risposta la dottoressa ci guardò e disse: “bene allora iniziamo a conoscere il vostro bambino” e per oltre un’ora ci tenne nella sala e ci fece vedere in 3D il nostro piccolino. Le mani, il viso, i piedi, gli occhi e poi lungo la schiena fino ad arrivare alla parte sacrale dove si notava il mielomeningocele.

La dottoressa conferma l’ecografia precedente, con la “piccola” differenza che non lo definì un caso così grave come detto il giorno prima dall’altra dottoressa.

Termina l’ecografia stampandoci una foto del volto e dei piedi e ci dice che queste sono per i suoi fratelli. I tre giorni successivi furono tre giorni di silenzio, di buio. Ci svegliavamo nel bel mezzo della notte e ascoltando il respiro dell’altro capivamo se era sveglio e in quel caso allungavamo la mano una verso l’altra per poi stringerla.

A me passarono le nausee da subito. Dopo questi tre giorni accadde qualcosa che ci fece di fatto cambiare marcia e cercare di prendere il toro per le corna, cioè non farci sopraffare da quello che ci stava accadendo ma iniziare ad affrontare questa situazione. Iniziammo con il raccontare alle persone care, a quelle che ci stavano vicino quanto ci stava accadendo e più ne parlavamo, più ci sembrava di iniziare a levarci parte di quella zavorra che ci stava portando giù. Parlando con degli amici per la prima volta uscì il nome della Quercia Millenaria.

Ricordo ancora quel giorno. Eravamo a casa da amici e durante il pranzo con altre coppie, mentre parlavamo di quello che ci stava accadendo, una mia amica prese la parola e ci chiese se per caso avevamo mai sentito parlare di questa associazione con sede a Roma. Un’associazione di famiglie che avevano vissuto un lutto perinatale o che avevano accolto un figlio con disabilità. Famiglie alle quali non era mancata la forza di rialzarsi per poi ripartire. Questo fatto di un’associazione di famiglie mi colpì molto e tornati a casa cercai subito in internet informazioni a riguardo. Trovai anche un numero di telefono che annotai su un foglietto. Foglietto che rimase per qualche giorno o forse un paio di settimane, non ricordo, sopra il bancone della cucina. Non sapevo infatti chi avrei trovato dall’altra parte del telefono e questa cosa mi bloccò. Un giorno mi decisi e chiamai. Con grande stupore mi rispose una donna dalla simpaticissima pronuncia romana che mi colpì subito per la sua semplicità. Mi chiese chi ero e come un fiume in piena le raccontai tutto per filo e per segno. Rimasi basita quando, con molta tranquillità, mi disse che anche loro avevano tre figli, l’ultimo dei quali, secondo alcuni medici, non aveva possibilità di vita ed invece oggi frequenta le scuole superiori. Da questo evento decisero di dar vita alla Quercia, appunto associazione di famiglie per le famiglie.

Dopo questo incontro telefonico con Sabrina, la fondatrice dell’associazione, ad ottobre ci venne fissato un appuntamento a Roma presso l’ospedale Gemelli.

Partimmo io e mio marito con tante paure, dubbi, domande che spaziavano a 360°, cosa ci diranno visto che nemmeno ci conoscono questi di Roma? Se, come ci era stato detto telefonicamente, al Gemelli gli interventi di chiusura del meningocele erano frequenti, perché non farsi seguire da loro e far nascere a Roma nostro figlio?

Con un mare di domande in testa arrivammo in ospedale e stranamente ad accoglierci chi troviamo? Sabrina, la fondatrice della Quercia assieme a suo marito Carlo con addosso un camice bianco ed un tesserino di riconoscimento.

Non dimenticherò mai quel primo incontro, due persone, o meglio, due genitori come noi e voi, che ti aspettano con il sorriso in una sala d’attesa di un ospedale.  Ci presentammo brevemente raccontando tutto quello che solitamente racconti per presentarti ad una coppia di amici appena conosciuta. Facemmo la visita e con stupore, ma anche felicità, il dottore ci disse che tutto quanto fatto a Treviso fino a quel momento era corretto. Non era stato omesso nulla e di fatto si può dire che nonostante a Treviso da 7 anni non si seguiva una gravidanza con diagnosi di spina bifida, il personale che avevamo incontrato era preparato.

Cercammo di conoscere anche famiglie che avevano figli con la stessa disabilità del nostro. Una giovane coppia nel padovano ed un’altra sempre della provincia di Treviso. Da quest’ultimi andammo a cena un sabato sera. Arrivati ci accolsero la moglie ed una delle due figlie. Alla domanda dove fosse il marito e l’altra figlia, quella con spina bifida, ci rispose che stava tornando dalla partita di basket. Io e mio marito ci guardammo un po’ sorpresi e lei ci raccontò che anche se in carrozzina la bambina giocava appunto a basket ed andava a nuoto. Quando arrivarono ci mettemmo a tavola e senza problemi partimmo col fare un sacco di domande pratiche, anche sull’organizzazione della casa visto che noi dovevamo iniziare a progettare la nostra futura nuova casa per permettere a nostro figlio un domani di muoversi liberamente. Ma la vera mazzata arrivò durante il dolce quando ci raccontarono di aver partecipato per anni alla sfilata dei carri allegorici sfilando come famiglia……cioè mi spiego? Una famiglia con un figlio in carrozzina che mascherati vanno a sfilare. Questa cosa ci colpì molto positivamente perché iniziavamo a comprendere che non era vero che l’arrivo di un figlio con disabilità era la fine di tutto, certo diverse cose non le possiamo più fare ma ci siamo resi conto che per ogni porta chiusa se ne sono aperte almeno un’altra decina.                                       

Ci furono poi un’infinità di altre visite e tra queste ricordo con piacere uno scambio avuto con la mia ginecologa la quale, lasciandoci la massima libertà di scelta nel decidere dove andare a partorire, mi ricordò che avevo altri due figli da accudire e forse Roma era un po’ distante non avendo la certezza della prognosi di nostro figlio una volta nato ed operato. Ho apprezzato molto questa sua sincerità ed il tatto nel parlarmi che di fatto ci ha fatto valutare con più chiarezza i tempi del parto, dell’intervento e del suo post. In questo periodo avemmo altri incontri con medici di Treviso, con la neurologa che ci confermò che si trattava di una spina bifida e che nostro figlio non avrebbe mai potuto camminare e, vista la lesione, avrebbe inizialmente strisciato come un marines, questa cosa la ricordo e ricordo che ci guardammo tutti e tre e sorridemmo. Visitammo anche il reparto di patologia neonatale del nostro ospedale e anche qui trovammo una dottoressa, che conoscevamo non di persona ma per essere una in gamba, che ci parlò del suo reparto che di fatto né io né mio marito pensavamo esistesse. Ve la mettiamo giù breve, alla fine tutte queste persone, più altre che incontrammo ci fecero decidere di rimanere a Treviso dove di fatto il 14 gennaio 2015 nacque il nostro terzogenito Davide, si lo stesso nome di quel ragazzo che nessuno considerava e che invece qualche secolo prima con una fionda e cinque sassi colpì e uccise il gigante Golia.

Oggi nostro figlio ha compiuto 6 anni e mentre lo scrivo è appena sceso in cucina con la sua carrozzina e vedendomi mi saluta.

Se dovessimo tirare le somme di questi ultimi 6 anni non nascondiamo che in certi momenti non sono stati semplici, abbiamo sputato sangue, abbiamo pianto, abbiamo dovuto prendere decisioni che solo noi potevamo prendere ma se da una parte è corretto parlare delle cose che non vanno bene, dall’altra vi scriviamo che sono stati anni intensi vissuti giorno per giorno. Anni belli che hanno portato sorrisi oltre ogni misura, talvolta inaspettati ed hanno ribaltato situazioni che ci sembravano immutabili come quando dovetti svuotare il mio armadietto al lavoro convinta che non sarei mai più potuta rientrarvi. Ed invece dopo due anni iscrivemmo Davide all’asilo nido ed io potei così riprendere quel senso di normalità tornando a lavorare.

Possiamo concludere che sono stati anni davvero difficili ma belli, probabilmente i più belli della nostra vita, perché vissuti assaporando ogni momento, non dando nulla per scontato, ma gustando le relazioni appieno, con un ritmo ed un senso diversi.

Dania e Massimo Benetton