Ascite fetale
Tutto iniziò il 9 dicembre 2006: eravamo in Trentino da mio cognato e feci il test di gravidanza che risultò positivo.
Io e mio marito Alessandro eravamo felicissimi, visto che nel luglio precedente avevo avuto un aborto spontaneo alla 6ª settimana di gestazione. La sera lo comunicammo ai parenti e a nostra figlia Vanessa, di soli due anni e mezzo.
Tornammo a Livorno, a casa nostra, dopo qualche giorno, e iniziai a fare le prime ecografie. Il mio ginecologo mi disse che ero di poche settimane e che il battito del cuore avrebbe potuto non sentirsi, e che quindi non dovevo preoccuparmi.
Invece c’era, e come batteva! Il ginecologo si stupì e ci disse che andava tutto bene. I giorni e i mesi passarono con serenità, la pancia si iniziava a vedere, feci il bi-test che risultò tutto negativo: non c’erano malformazioni.
Eravamo sempre più contenti e felici, Vanessa continuava ad accarezzare e baciare la mia pancia e mi chiedeva se fosse maschio o femmina; noi gli rispondevamo che ancora non si vedeva!
Tutto procedeva bene e si pensava ai nomi maschili o femminili…
Fino al 13 marzo del 2007… Ero alla 18′ settimana; ebbi una cistite improvvisa, la sera mi vennero le contrazioni e perdite di sangue. Mi crollò il mondo addosso e pensai: “ho perso anche questo! perché Signore, mi fai questo?” … Invece era solo una cistite emorragica lui (o lei) stava bene. Prima di dimettermi fecero un’ecografia, assicurandomi che tutto era a posto; chiesi loro se si vedesse il sesso: risposero di no, perché aveva le gambe chiuse.
Tornammo a casa sereni, anche se avevamo preso un bello spavento. La gravidanza proseguiva bene e nel frattempo avevamo pensato che se era maschio lo avremmo chiamato “Gabriele “, perché in realtà quello che si desiderava di più era il maschio!
Arrivò il fatidico giorno del 10 aprile: dovevo fare l’ecografia morfologica. Ero all’inizio della 22′ settimana, eravamo tranquilli e speranzosi che stesse bene, e che finalmente si vedesse se era maschio o femmina. Ci recammo in ospedale e incontrammo il mio ginecologo, che mi comunicò che non sarebbe stato lui a farmi l’eco, perché era stato chiamato per un’urgenza, quindi sarebbe stato un altro medico a farmi l’esame. Mi sdraiai sul lettino per sottopormi all’ecografia; accanto a me avevo mio marito e mia figlia molto impaziente di sapere se sarebbe arrivato, un fratellino o una sorellina.
Iniziò l’ecografia e subito il dottore fece una strana espressione. Capimmo che c’era qualcosa che non andava gli chiedemmo cosa stava succedendo, ma lui ci chiese di attendere perché doveva capire pure lui. Arrivò un altro medico, che era entrato per caso nella stanza; il dottore che mi stava visitando chiese la sua attenzione e iniziò a indicargli lo schermo e si misero a parlare tra loro. Capi che c’era qualcosa che non andava e iniziai a piangere; Alessandro si sedette perché si stava sentendo male, intanto Vanessa (che non aveva capito cosa stava succedendo), continuava a farmi la solita domanda sul sesso del bambino.
Finalmente arrivò il mio ginecologo, che attirato dall’attenzione dei colleghi si mise a guardare, e inizio a chiedere: “Tutti, gli organi funzionano? Cervello, stomaco, reni, vescica…? Com’è il cuore?”… Sentendo quelle domande, il mondo mi crollò addosso e chiesi con un filo di voce cosa stava succedendo.
Fu il mio medico a darmi la notizia: “Ha un ascite fetale all’addome, ma di più non sappiamo dirle… le prendo subito un appuntamento con un medico di Pisa “. Vanessa, alzando la sua voce, disse al medico: “dottore, è un maschio o una femmina! “. E lui le sorrise e con dolcezza disse:” E’ un maschio “.
Il pomeriggio lasciammo Vanessa dagli zii e andammo subito a Pisa. Dopo una accurata ecografia (durante la quale speravano ci dicesse che tutto era a posto e che si erano sbagliati) , questo medico mi confermò la diagnosi: Ascite Fetale.
Con poche spiegazioni ci disse: “Voi siete giovani e so già la vostra risposta ma ugualmente vi chiedo: volete abortire?” … E noi “Perché? Qual è il motivo?” “potrebbe avere delle malformazioni, essere anemico, scompensi cardiaci, qualche organo non potrebbe funzionare, etc.”… Io rimasi senza parole, Alessandro gli chiese: ” E lui cosa ha di preciso?” ”Niente di tutto ciò, all’apparenza è sano, ma ha sempre un’ascite fetale!” Poi prosegui: “Se il liquido non si ritira, lui morirà, quindi non è compatibile con la vita!”. Noi non volevamo abortire e si decise di andare avanti, il medico ci diede la sua totale disponibilità a monitorare insieme a noi la gravidanza, si raccomandò che appena non avessi sentito nessun movimento avrei dovuto andare subito in ospedale e avvisarlo. L’unica cosa da fare era attendere la morte naturale, noi non potevamo fare nulla.
Tornammo a casa senza neanche la forza di piangere… ci sembrava un incubo.
Il giorno dopo tornammo a Pisa e ci sottoponemmo ad alcuni esami, tra cui quelli del sangue ed in più l’amniocentesi.
Poi andammo a Massa per fare un ecocardio fetale. Tutto era nella norma, il cuore non aveva nessun problema.
Intanto, familiari e amici ci chiamavano per starci vicino.
Una nostra amica di nome Federica mi disse che sarebbe andata su Internet a vedere se trovava qualcosa o qualcuno che poteva aiutarci a capire cosa stesse succedendo, ed in quale modo avremmo potuto risolvere.
I giorni passarono, arrivarono i primi risultati degli esami: tutto era negativo: allora da dove veniva tutta questa ascite?
Andai nuovamente a fare una visita di controllo dal mio ginecologo, in quale constatò che il liquido dentro la pancia di mio figlio era aumentato. Poco dopo telefonai al medico di Pisa, per sapere cosa potevo fare per salvare mio figlio; mi rispose: “oramai deve solo aspettare che il battito si fermi, oppure fare una paracentesi ma sarebbe molto rischioso e la gravidanza si interromperebbe prima, deve solo attendere. Mi dispiace!”… il mondo mi è nuovamente crollato addosso: il maschio tanto desiderato stava morendo e io dovevo solo aspettare e se avessi fatto qualcosa lo avrei perso, quindi eravamo impotenti.
Mi chiamò Federica, che aveva trovato su Internet un’Associazione che aiutava i feti terminali, “La Quercia Millenaria Onlus” e mi diede il numero.
All’inizio ero un po’ insicura… cosa si poteva trovare di buono su Internet?
Non avevo visto il sito, perché in casa Internet non ce l’avevo; ma lei continuava a chiedermi ogni giorno se avessi chiamato l’Associazione… alla fine Alessandro disse: “Proviamo!”. Nei giorni precedenti avevo contattato altri ospedali e tutti mi dicevano la stessa cosa, non c’era nulla da fare, ma solo attendere.
Era giovedì 19 aprile 2007, ed era sera: e decisi di chiamare; ero molto dubbiosa e impaurita.
Mi rispose una voce femminile e si presentò con il nome di Sabrina la quale mi ascolto con attenzione e mi fece alcune domande ben precise.
Alla fine mi diede il numero di un medico che stava a Roma e lo chiamai subito.
Mi rispose e mi ascoltò anche lui con attenzione; poi mi fece alcune domande e alla fine mi disse: “Per questo bambino possiamo effettuare una paracentesi e valutare le condizioni attuali e soprattutto vedere in quale modo reagisce”. Sentito questo, mi alzai dicendo: “Io non voglio abortire, mi è stato detto che è rischioso, e che potrei perderlo prima! “. Lui con calma mi rispose: “Io non ho detto la parola “aborto”, io le sto parlando di “speranza”…
A quelle parole mi bloccai e i miei occhi si illuminarono.
Conclusa la telefonata, corsi da Alessandro gridando “C’è una speranza, finalmente l’abbiamo trovata!”
Il 23 aprile avevo un appuntamento in day hospital a Roma. Io e Alessandro partimmo pieni di speranza. Quando arrivammo, mi misero in una stanza insieme ad altre donne che dovevano fare l’amniocentesi. Alessandro doveva stare fuori in sala d’attesa. Dovevo attendere l’arrivo del medico ed ero impaziente, infatti spesso chiedevo all’infermiera se stava arrivando: stavo attendendo la “nostra speranza”.
All’improvviso entrò un dottore con aria allegra iniziando a scherzare con tutte noi. Poi venne da me e si presentò, mi portò in un’altra stanza per la visita e fece entrare anche mio marito, dopo l’ecografia confermò la patologia, e ci chiese: “Come lo chiamate questo maschietto?”. Io e Alessandro ci guardammo stupiti, nessuno ci aveva mai fatto questa domanda! Con un filo di voce pronunciammo per la prima volta il suo nome: “Gabriele”……” allora c’è speranza che lui nasca?”…… E lui con un dolce sorriso mi disse: “Io ce la metterò tutta!”
Mi fece così la prima paracentesi, togliendo 100 cc di liquido. Andò tutto bene e mi disse che poteva anche succedere che il liquido non si riformasse più. Mi fece ricoverare per sicurezza.
Il giorno dopo ripeté l’ecografia il liquido si stava già riformando; l’unica maniera per far nascere Gabriele era fargli le paracentesi altrimenti sarebbe morto per compressione toracica da liquidi.
Fui ricoverata per circa due mesi a Roma è quasi tutte le settimane facevo le paracentesi; in totale ne feci dodici, di cui le prime cinque ematiche, cioè di tutto sangue; ma dopo accurati esami al liquido ascitico, notata la carenza di albumina, si iniziò una terapia della stessa sostanza di cui Gabriele era carente, così nelle successive paracentesi il liquido divenne man mano del suo colore naturale, cioè colore giallastro.
Sabrina veniva spesso a trovarmi. In uno di questi incontri mi regalò il libro “Il figlio terminale”… Storie simili alla nostra, ma piene di amore verso questi figli, che agli occhi del mondo sono solo dei feti malati… O ancor peggio, dei parassiti. Per loro erano figli, che avevano voglia di vivere fino a quando il Signore non li avrebbe chiamati a lui.
In quel periodo capii che Dio era stato al nostro fianco sin dall’inizio e ci aveva aiutato a dire di no all’aborto.
Mentre Gabriele cresceva, anche il liquido aumentava ed eravamo arrivati a togliere circa 500 CC ogni settimana. Intanto Alessandro e Vanessa stavano al C.A.F.T., l’appartamento messo a disposizione da “La Quercia Millenaria” e tutti i giorni potevano venirmi a trovare e farmi compagnia. la sera per addormentarsi Vanessa voleva sempre che gli venisse letta una favola… Nella fretta di fare i bagagli, le favole erano rimaste a casa. Visto le sue insistenze, e non sapendo come risolvere il problema, mio marito prese la Bibbia che campeggiava negli scaffali del salotto ed iniziò a leggerla. Ogni volta che Alessandro apriva la Bibbia a caso, gli capitavano sempre passi della Risurrezione e non capiva il senso. Quando poi insieme a Vanessa recitava il “Padre Nostro “, non riusciva a dire “sia fatta la tua Volontà”… non era semplice in quella situazione.
Vanessa intanto chiedeva di continuare, ma lui non ci riusciva perché non voleva che la volontà del Signore potesse essere quella di prendere nostro figlio.
Arrivai così al 22 giugno, nel corso della 32ª settimana… quella sera non stavo bene, avevo delle contrazioni; mi misero il monitoraggio, mi dissero di stare tranquilla e di cercare di riposare.
La mattina misero nuovamente il monitoraggio: le contrazioni erano aumentate; chiamai Alessandro. Già da una settimana Vanessa era dalla mia mamma, vicino Livorno.
Dissi ad Alessandro di venire, mi sentivo che sarebbe successo qualcosa, anche perché le contrazioni aumentavano.
Quanto ero impaurita! Alessandro arrivò poco dopo.
Mi fecero fare un’ecografia e la dottoressa disse: “Bisogna far nascere questo bambino, sennò rischiamo di perderlo!”.
Alessandro intanto chiamava il medico (era sabato, il suo giorno libero). Io scoppiai in lacrime, avevo tanta paura. Il medico arrivò poco dopo, entrò nella mia stanza, dicendomi: “Bisogna farlo nascere subito! Stai tranquilla, non mollare proprio ora!”
Era il 23 giugno 2007 : entrai in sala operatoria e mi sottoposi alla 12ª paracentesi, perché io piena di contrazioni stavo schiacciando Gabriele; lui stava soffrendo e si muoveva tantissimo. Alla fine la paracentesi fu fatta; era arrivato il momento di farlo nascere. Dovevo solo attendere che mi facesse effetto la spinale e mi preparassero, e avrei sentito il pianto di Gabriele… Sempre sperando che piangesse! Si era messa accanto a me l’anestesista, una dottoressa molto carina e dolce, che mi accarezzava la fronte e mi rassicurava.
Finalmente, alle 13:57 sentii il pianto di Gabriele; lo portarono via per i primi controlli ma in lontananza lo sentivo piangere e chiesi: “ma è lui che piange?” L’anestesista mi guardo e mi sorrise e disse: “senti come vuole vivere!” Io iniziai a piangere dalla gioia e a chiedere di vederlo; poi me lo portarono vicino, davanti al viso e lo baciai tutto… il suo visino era uguale a quello di sua sorella. Poi lo portarono nuovamente via, mi dissero che aveva bisogno di stare al caldo…
Mentre finiva il cesareo guardai il cielo e dissi “Ce l’abbiamo fatta!”
Mi dissero che Gabriele pesava 2,680 kg . Dopo due ore venne trasferito al Bambin Gesù, al D.E.A. in rianimazione… Essendo nato “fuori programma”, le culle nella terapia intensiva non erano disponibili. Alessandro lo raggiunse, e l’indomani mi disse che lo avevano intubato e stava in coma farmacologico… Si sperava che superasse le 48 ore.
Mi fece vedere la foto: era bellissimo e avrei voluto andare da lui, ma durante il cesareo avevo perso troppo sangue. La sera venne a trovarmi Sabrina voleva avere notizie di Gabriele. più tardi il medico passò anche lui a trovarmi; parlammo un po’ e mi tranquillizzò come faceva sempre quando ero giù di morale. Quando mi dimisero, ci chiamarono dal Bambin Gesù per dare l’autorizzazione di mettere un drenaggio all’addome di Gabriele, perché produceva troppo liquido ascitico e non volevano bucarlo ogni volta già che era rischioso. Ci precipitammo per firmare i consensi.
Più tardi ci fecero entrare; quando lo vidi attaccato alle macchine e tubi, iniziai a piangere e mi dissi: “Ma cosa ho fatto, per colpa mia lui soffre!”, ma Alessandro mi sussurrò all’orecchio: ”Ha bisogno della sua mamma”. Appena mi avvicinai di più a Gabriele, lui aprì un attimo gli occhi e mi sorrise e afferrò il mio dito: lì capii che avevo fatto la cosa giusta: avevamo compiuto il nostro dovere, gli avevamo dato la vita. Ora spettava a Dio scrivere il finale della storia. Passarono i giorni fra gli alti e i bassi di questo bambino: un giorno era gonfio come un pallone e veniva drenato, poi sembrava stare meglio, poi nuovamente peggiorava; ci dissero che non gli funzionava il sistema linfatico e che nel suo addome c’erano tantissimi micro buchi e che era il primo caso. Ci chiamarono anche dall’estero per sapere di questo bambino e ci confermarono che era il primo caso, ma in tutto il mondo.
Però lui era li con noi e potevamo guardarlo, toccarlo e trasmettergli tutto il nostro amore.
Dopo sei giorni stava serenamente meglio. Sabrina e Carlo vennero a trovarci al C.A.F.T. per pregare con noi, e ci dissero: “Vi consigliamo di battezzarlo”, fino a quel momento noi non ci avevamo pensato, perché speravamo di farlo a casa, com’è classico pensare per una persona che aveva vissuto la fede come una sorta di religiosità naturale, come noi fino a quel momento punto e poi, forse, non ci rendevamo conto che davvero avremmo potuto perdere Gabriele.
Sabrina e Carlo ci aiutarono non solo a sperare ma anche a rimanere ancorati alla realtà. L’indomani stesso, il 30 giugno, lo battezzammo la madrina fu Sabrina e il padrino mio fratello Sandro.
Sabrina gli regalò un bellissimo rosario, poi mi diede un CD dove c’era una preghiera cantata da Fabrizio (che era un papà della Quercia); era una preghiera che invocava la guarigione, era stata incisa per Gabriele nel corso di una preghiera di intercessione per lui, il giorno stesso della sua nascita.
I giorni passarono, Gabriele migliorò non producendo praticamente più liquido all’addome; ne produceva però nel torace, gli levarono il drenaggio alla pancia e gliene misero due al torace uno a destra e l’altro a sinistra. Ne produceva molto meno perché all’inizio erano 500 CC al giorno ma poi solo 40 cc. I medici non se lo spiegavano… Per noi era un miracolo! Provarono ad estubarlo, ma respirò da solo per quattro ore soltanto.
Lo intubarono quindi nuovamente e iniziò a fare gli esercizi per sviluppare i muscoli “polmonari”.
Il 26 luglio gli fecero una TAC e Vanessa poté finalmente vederlo per la prima volta. Le sue parole quando vide il fratellino furono: “Mamma, è bellissimo!”… il giorno dopo ci comunicarono che durante la notte aveva avuto uno scompenso respiratorio, ma si stava riprendendo; la TAC era abbastanza buona e se continuava bene, dopo due giorni avrebbero provato a estubarlo nuovamente ed alimentarlo. Il pomeriggio, all’interno del DEA non si poteva entrare: c’erano altre emergenze… io chiesi informazioni su di lui e mi dissero che stava meglio.
Alle 18:00 andammo via dall’ospedale ma improvvisamente, alle 20:00 ci chiamarono: Gabriele stava peggiorando vistosamente. Chiamammo subito Sabrina, per chiederle di tenere Vanessa in casa sua… non avremmo saputo dove lasciarla, a Roma eravamo completamente soli i nostri parenti a Livorno ci avrebbero messo cinque ore ad arrivare.
Alle 21:00 arrivammo al DEA, ma non ci fecero entrare subito, così cercammo il parroco, il cappellano del Bambin Gesù che sempre ci è stato vicino durante i 34 giorni della nostra permanenza.
Lui poteva entrare in reparto e venne subito a comunicarci che la situazione di Gabriele era critica. Presi oramai dalla disperazione, il nostro timore più grande era di non potergli dare il nostro ultimo saluto, piangevamo disperati, ma il parroco ci disse: “Stare tranquilli che lui vi aspetta, non se ne va senza avervi salutato e ringraziato!”
Alle 22:00 ci fecero entrare: lui era li, col cuore che batteva piano piano… Se ne stava andando. Chiesi al medico se avesse uno stereo volevamo far sentire a Gabriele la sua canzone.
Me lo concesse, la misero… E io e Alessandro iniziamo a cantare:
” Signor Gesù è morto, portando sul tuo corpo tutte le nostre malattie! In Te abbiamo guarigione “
Alle 22:30 arrivò il parroco; avevamo deciso insieme di cresimarlo…gli infermieri del DEA prepararono e recitarono il Padre Nostro con noi, tenendoci tutti per mano.
Alle 23:00 Gabriele è volato in cielo per diventare un santo al trono di Dio gli dicemmo:
“Grazie per essere stato con noi per 34 giorni!”
Finalmente fu libero da tutti quei fili che lo tenevano fermo su quel lettino; fu il Signore a decidere quando doveva essere libero, non noi.
Per noi è stato un momento molto intenso; lui è vissuto 34 giorni durante i quali abbiamo potuto vedere i suoi occhi azzurri aprirsi, sentire la sua voce nel pianto, sentire il suo odore, vedere il suo sbadiglio, ma soprattutto vedere il suo sorriso, perché lui sorrideva sempre.
Il 31 luglio 2007 ci sono stati i funerali a Livorno. Io e mio marito l’abbiamo portato dentro la chiesa con l’aiuto di Sandro (mio fratello) e di Sandra (sua moglie), sulla bara abbiamo messo il fiocco della sua nascita: quel fiocco che annunciava la nascita di un figlio di Dio.
Sabrina ha fatto una bella intercessione alle esequie, dicendo tante parole che per noi sono state ancora una volta di conforto. Abbiamo dato la nostra testimonianza a parenti amici e abbiamo cantato con l’aiuto di Fabrizio la canzone di Gabriele e altre per salutare il nostro bambino. alla fine quando stavamo portando fuori la bara di Gabriele, con l’aiuto di Giuseppe (fratello di Alessandro) e Francesca (sua mamma) è scrosciato un applauso e io ho gridato: “Grazie, Gabriele!”
Grazie a Gabriele abbiamo conosciuto il Signore, lui ci ha portati alla fede vera… è il più bel regalo che può fare un figlio ai suoi genitori!
La Quercia Millenaria, ovvero Sabrina, Carlo e tutte le famiglie, ci hanno aiutato a prenderci per mano verso questa grande storia; sono stati tra i pochi ad asciugare le nostre lacrime, sono stati tra i pochi ad aiutare in questa scelta senza giudicarci.
Ci hanno molto aiutato anche sotto il profilo spirituale e la storia di Gabriele ci ha fatto riscoprire una Fede che non conoscevamo.
Gabriele rimarrà per sempre nei nostri ricordi, non come un feto terminale ma con figlio per l’Eternità.
Dopo che Gabriele ci aveva lasciato eravamo sereni, ma ci mancava tantissimo, Vanessa cercava di farci tornare il sorriso e spesso ci consolava. Così iniziammo a diventare parte integrante dell’associazione aiutando altre famiglie.
Alcuni anni dopo si pensò di avere un altro figlio, anche se la paura era tantissima, ma grazie alla mia ginecologa la dr.ssa Lorella Battini, che mi fece fare degli accertamenti, mi disse che se fossi rimasta incinta avrei dovuto fare l’eparina.
Io ed Alessandro iniziammo a pensarci e dopo qualche mese ero incinta, le paure erano tantissime e pensai; “se lo perdo? e se inizia ad avere anche dei problemi?”
Iniziai a sottopormi alle prima ecografie e i primi esami, ogni volta che l’ecografo veniva appoggiato sulla mia pancia ero terrorizzata, ma la dottoressa mi tranquillizzava, stava bene, ma non si faceva vedere.
Vanessa, che aveva 6 anni, era felicissima e lei questa volta sperava in una sorellina e aveva deciso già il nome, noi invece volevamo solo che stesse bene.
Quando si arrivò alla morfologica, i nostri cuori tremavano insieme a noi dal terrore, invece stava andando tutto bene e ci annunciarono che era un maschio.
Allora decidemmo di chiamarlo “Michele” proprio come l’Arcangelo.
Dopo un mese iniziarono le contrazioni, ero al 6° mese di gravidanza e mi dovettero ricoverare. Fui ricoverata a Pisa ed ero un’altra volta in uno ospedale, attaccata a una flebo e lontano da mia figlia che aveva iniziato a 1ª elementare e io non potevo aiutarla con i suoi primi compiti.
Per quasi più di un mese entravo e uscivo dall’ospedale e la paura di perdere un altro bambino aumentava sempre di più.
Il 24 Dicembre 2010, ero rimasta a letto tutto il giorno, non mi sentivo bene e poi l’indomani era Natale e con Alessandro e Vanessa, avremmo voluto essere insieme ai miei genitori in provincia di Pontedera.
Il 25 Dicembre, feci fatica ad alzarmi, ma il desiderio di far passare un Natale sereno a Vanessa era più forte delle contrazioni. Alessandro mi chiese se ero sicura di andare dai miei genitori, ma io volevo passare un Natale sereno.
Poco prima di uscire Alessandro mi disse:” Che facciamo ci portiamo dietro la borsa dell’ospedale?” e io gridando un po’ scocciata:” Il giorno di Natale non partorisco!”
Arrivammo a casa dei miei e iniziammo a mangiare. nel primo pomeriggio continuavo a stare male, ma non volevo far preoccupare nessuno, soprattutto Vanessa.
Verso le ore 15:30 dissi ad Alessandro di andare via, stavo sempre male, durante il viaggio di ritorno le contrazioni aumentavano sempre di più, quindi mi girai verso Alessandro e gli dissi:” L’abbiamo superata Pisa?” Alessandro mi guardò con gli occhi sbarrati e in pochi minuti ero in ospedale, con una dilatazione di cinque centimetri e le contrazioni.
L’infermiera si avvicinò ad Alessandro dicendogli:” Mi può dare la borsa con i cambi di sua moglie?” Alessandro rispose:” Perché!? E’ ancora presto è di 8 mesi!” , l’infermiera gli disse che occorreva la borsa con tutti gli esami, perché presto sarebbe diventato di nuovo padre.
Alessandro corse a casa con Vanessa, che poi lasciò a casa di suo fratello, e poco dopo era da me.
Il medico ci disse che dovevano fare un cesareo di urgenza e il bambino stava iniziando a soffrire.
Alessandro chiamò subito la dr.ssa Battini che da casa arrivò in un lampo ed entrò con me in sala operatoria, era li a tranquillizzarmi e io ero terrorizzata, era presto e stava succedendo tutto così in fretta.
L’intervento iniziò e il medico mi diceva tutti i passaggi (come avevo richiesto, mi faceva stare più serena) a conclusione del taglio mi disse che si era completamente girato e che lo avrebbe preso dai piedi, mentre faceva uscire il bambino diceva: ”Bianca sei pronta, ora lo sentirai piangere, ci siamo… eccolo!” … silenzio…nessuno piangeva… tutti i medici e lo staff presente rimasero con gli occhi sbarrati e bloccati.
Un instante dopo vidi entrare tre neonatologi di cui c’era anche la dr.ssa Laura Guerrini e iniziarono a rianimarlo, io iniziai a piangere, ma iniziai anche a pregare e cantare le Lodi a Dio.
Il medico disse:” Cosa sta facendo!” e la mia dottoressa: ”Tutti zitti sta pregando!”… si stavo supplicando Dio di salvarlo e se era la Sua Volontà di aiutarlo a respirare… pochi secondi dopo si senti un pianto, era Michele, stava piangendo… i medici iniziarono a saltare di gioia a gridare “Gloria a Dio” e io con un filo di voce disse: “ Signore sei Fedele”.
Finalmente mi fecero vedere Michele era bellissimo e assomigliava ai suoi fratelli, poi aprì leggermente gli occhi e vidi che erano azzurri, proprio come quelli di Gabriele.
Fu trasferito in terapia intensiva, ma non era intubato, io potei andarlo a vedere solo l’indomani.
Quando arrivammo davanti al reparto della terapia intensiva, stavamo rivivendo gli stessi momenti di Gabriele e quando vidi Michele dentro un incubatrice ero terrorizzata, non volevo toccarlo, un infermiera mi disse:” Lo vuoi tenere in braccio” e io risposi di “No” e lei:” Ma come! Ieri cantavi e ora? Forza che lui ha bisogno della sua mamma e tu di tuo figlio” come me lo misi in braccio scoppiai in lacrime, ero felice, avevo mio figlio tra le braccia!
Michele dovette stare qualche giorno in ospedale e io tutti i giorni andavo da lui, per poi finalmente il 31 Dicembre 2010 ci consentirono di portarlo a casa, anche se aveva un po’ di ittero.
Finalmente potemmo far conoscere a Vanessa il suo fratellino.
Alcune volte mi domando come mai Dio, mi ha fatto avere un figlio proprio il giorno di Natale, alcune volte non possiamo conoscere i Suoi piano, ma so per certo che Lui scrive sempre dritto su righe storte.
Alessandro e Bianca Lumetta