Agenesia renale
La storia di nostra figlia inizia un paio d’anni dopo il nostro matrimonio con un test di gravidanza che a sorpresa risulta positivo. Quante emozioni… e quante domande: cosa bisogna fare, quali visite, quali controlli e poi in pochi giorni cedere alla tentazione di immaginarsi già in un futuro imminente, affaccendati ad acquistare passeggino, fasciatoio, lettino, di tutto di più. Sicuri che niente possa rovinare queste giornate felici, facciamo i primi controlli che risultano nella norma, avvicinandoci piano piano al primo traguardo dell’ecografia morfologica. Con un po’ di timore nel cuore ma alimentati dalla speranza di ritornare a casa sapendo il sesso del nascituro entriamo nella stanza dell’ospedale di Carate Brianza. Inizia la visita ed al crescente silenzio imbarazzante che persiste nonostante le nostre domande si affianca una sensazione raggelante. Qualcosa non va ma veniamo spostati per migliori indagini al giorno successivo. Impossibile ormai scordarci di quegli attimi in cui ci viene detto che nostro figlio ha varie problematiche, in primis un’agenesia renale bilaterale, che lo rendono incompatibile con la vita. Di colpo crollano tutti i tuoi sogni e non sai più dove aggrapparti. Il giorno successivo siamo al Buzzi a Milano dove la diagnosi viene confermata e nostro figlio diviene ufficialmente un feto che sarebbe già dovuto morire ed al quale comunque non vengono prospettate più di due settimane nella pancia della mamma.
Tanto vale abortire.
In uno sgomento e in un dolore indicibili tutti i nostri valori vacillano, le nostre certezze crollano.
Approdiamo nel frattempo all’ospedale di Monza dove ci viene proposta un’alternativa: accompagnare nostro figlio per il tempo che gli rimane invece che porre fine alla sua fragile vita.
Scegliere di continuare vuol dire dover stare sempre attenti ai suoi movimenti per vedere se è vivo e alzarsi ogni mattino col pensiero che forse il suo giorno è arrivato. La sofferenza apparentemente pare protrarsi più di quanto umanamente pensiamo di sopportare. Ma una voce preziosa ci dice:” Non mettete mano a cose non competono agli uomini” e, ridestati nella nostra coscienza , avvertiamo che è giusto continuare.
Le due settimane prospettate dai medici diventano 4 mesi in cui i nostri passi da deboli diventano più sicuri e più forti. Gradualmente cresce in noi una pace profonda che si nutre dell’amore stesso che doniamo a nostra figlia che ha solo questi giorni per poterlo sentire. La serenità che portiamo dentro ci aiuta anche a combattere la fatica di dover rispondere a chi non capisce, a chi ritiene inutile, masochista, egoista la nostra scelta. A chi non riesce ad andare oltre, spaventato e provocato da questa morte annunciata. Nostra figlia però continua a crescere nella norma seppur con le sue gravi patologie, fino a donarci la gioia infinita di poterla vedere il 2 luglio 2007.
Letizia Maria nasce a fine gravidanza e ci viene data la Grazia di stringerla viva tra le braccia e di comunicarle tutto il nostro amore per 35 minuti, sufficienti a giustificare le fatiche passate. Dopo il battesimo ritorna al Padre lasciando in noi la certezza di aver fatto per lei tutto quanto potevamo, con il ricordo perenne di una figlia e non di un rifiuto, sapendo di aver fatto i suoi genitori fino in fondo.
A distanza di tempo ci rendiamo conto meravigliati di come una vita agli occhi di tutti così piccola e apparentemente senza senso perché troppo breve, abbia invece proprio in quella brevità la sua forza. E’ proprio quel ristretto arco di tempo che suona come una provocazione. Per alcuni è vita, (per noi è la più importante che abbiamo incrociato!) per altri forse non lo è neanche.
Abbiamo visto che viene automatico prendere posizione. Ma in quei 35 minuti c’è ben altro che lo spunto per una discussione. C’è una forza che continua anche a distanza di tempo a plasmare le nostre giornate e il nostro modo di pensare. E’ una Presenza che ci riempie il cuore di una pace che è difficile descrivere, di una gioia paradossale vista dall’esterno, di una serenità concreta che supera di gran lunga il prezzo pagato con tante lacrime. E’ proprio la Grazia di potere vivere con questo stato d’animo che cancella in noi la percezione di assurdo di una vita così. La vita della Leti qui era quella, punto. A noi ha insegnato tante cose, tra cui ad avere meno paura, ad andare oltre, a stare al proprio posto, lottando contro la tentazione di scappare dalla fatica.
Eleonora e Mauro Busnelli