Matteo

Anencefalia

Storia di Matteo, un dono di Dio

Daniela: «Da fidanzati abbiamo condiviso un cammino insieme ad altre coppie e il sacerdote che ci accompagnava spesso ci diceva “le difficoltà possono diventare opportunità di crescita, la vita è oltre voi, maturate una disponibilità nei confronti della vita, per ciò che Dio vi riserva”. Questo messaggio mi ha sempre colpito ma nello stesso tempo mi faceva paura. Anni dopo, queste parole ci hanno aiutato.

Un anno dopo il nostro matrimonio aspettavamo già un bambino e alla 20esima settimana di gravidanza, durante l’ecografia morfologica è stata diagnosticata a nostro figlio una malformazione grave, incompatibile con la vita: anencefalia. La dottoressa che ci ha fatto l’ecografia ci ha spiegato che in questo caso si consigliava l’aborto e Paolo immediatamente le ha risposto “veramente noi siamo contrari all’aborto” ma lei insisteva perché ci mettessimo subito in contatto con il medico che praticava l’amniocentesi e l’aborto. Fortunatamente la ginecologa che mi seguiva ci ha consigliato di rivolgerci al San Gerardo di Monza. Dopo un primo contatto telefonico, la mattina seguente, sabato, al San Gerardo ci ha ricevuto una dottoressa: dopo aver confermato la diagnosi, ci ha spiegato che il nostro bambino sarebbe cresciuto in modo normale fino al momento del parto, che non soffriva e che la gravidanza avrebbe avuto un decorso naturale, che non ci sarebbero state complicazioni ma che al momento della nascita non sarebbe sopravvissuto se non per poco tempo».

Paolo: «Poi aggiunse una frase che mi porterò sempre dentro: “l’amore che darete a questo figlio si riverserà più grande nella vostra famiglia, tornerà a voi e ai figli che verranno”.

Al San Gerardo abbiamo trovato un’equipe di medici che ci ha assistito in modo esemplare e siamo loro grati perché ci hanno dato l’opportunità di sapere che era possibile, percorribile una strada alternativa all’aborto. 

Abbiamo scelto di fare la mamma e il papà per il tempo che avevamo a disposizione con il nostro bimbo, niente di più». 

Daniela: «Matteo, che significa dono di Dio, è nato il 4 dicembre del 2001 e quel giorno noi eravamo contenti perché nostro figlio è nato vivo, è rimasto con noi tre ore e poi se ne è andato. Quelle tre ore per noi sono state tutto: abbiamo conosciuto nostro figlio, abbiamo visto il suo volto, lo abbiamo tenuto fra le braccia, lo abbiamo accolto, gli abbiamo parlato e poi lo abbiamo salutato. 

Il dolore è stato forte, soprattutto dopo la sua morte ma quelle tre ore trascorse con lui ci hanno permesso di sostenere la fatica e il dolore che sono poi sopraggiunti. Fatica e dolore … dimensioni che fanno parte di questa vita … l’amore una realtà più grande capace di fronteggiarli.

Nonostante il dolore e lo smarrimento vissuto nei mesi successivi, la scelta di aver amato fin all’ultimo nostro figlio e di averlo accolto per il bambino che era ci ha lasciato nel profondo una grande serenità, una luce che a poco a poco anziché spegnersi si è alimentata rischiarando le nostre menti e il nostro cuore.

La morte di un figlio è assurda, non puoi trovare una ragione. Il dolore rimane un mistero, incomprensibile razionalmente, ma puoi trovare un significato nella tua esperienza e questa è la nostra speranza».

Paolo: «Un giorno una ragazza, Manuela, ci ha detto: “voi siete una speranza per noi”; l’ho guardata con stupore, mi chiedevo come potessimo essere una speranza noi, che rappresentiamo l’opposto del sogno di ogni coppia. Questa frase mi ha interrogato molto; Manuela ha colto in noi una speranza che va oltre la vita. In quel momento non compresi appieno il senso della sua affermazione, però sentivo che era una cosa bella per noi e con il tempo sono riuscito a farla mia questa speranza.

I mesi di gravidanza, nell’attesa della nascita di Matteo, sono stati per noi intensi e c’era la forza di andare avanti per accoglierlo, poi, dopo il parto, è arrivato il periodo più difficile che grazie a Dio abbiamo vissuto in momenti diversi, prima è stata male Daniela e dopo sono stato male anche io. Inizialmente, vedendo Daniela “giù”, ero preoccupato per lei e ho cercato di sostenerla, inoltre non ho mai avuto un momento di pausa per fermarmi e riflettere, ho ripreso subito a lavorare. Poi, stando meglio lei, ho cominciato ad accusare il colpo. Ho provato dolore, smarrimento, sentivo l’assenza di Matteo, mi mancava, ho sentito la mia solitudine, che per me è stato un dolore nel dolore. Dopo la scomparsa di Matteo attorno a noi si è creato il vuoto fra i nostri amici. Questo è sicuramente avvenuto involontariamente da entrambe le parti, da parte nostra, immersi nel dolore, non sentivamo di poter condividere alcuni momenti di incontro e di svago mentre da parte loro c’era disagio nell’affrontare la situazione e il non sapere come venirci incontro. La solitudine vissuta è stata per me un dispiacere ma grazie ad un sacerdote ho capito che essere dispiaciuti è umano, ma pretendere dagli altri è sbagliato. Il mio non star bene era più profondo, non dipendeva totalmente da queste mancate relazioni. La solitudine è stato un passo obbligato del nostro percorso».

Daniela: «Dentro questa solitudine e questo dolore abbiamo a poco a poco scoperto una luce: abbiamo scoperto che l’Amore è la forza più grande, più forte della morte. La morte di Matteo non è stata in questa nostra esperienza l’ultima parola, piuttosto l’amore la verità più grande: l’amore che abbiamo dato a nostro figlio e l’amore che io e Paolo ci siamo donati sostenendoci e rispettandoci a vicenda. L’amore è questo il nostro tesoro, che custodiamo nel cuore. L’amore sprigiona una forza grande…l’amore che abbiamo vissuto ci ha dato la forza per rialzarci, di rimetterci in piedi, di riconciliarci con la vita, ci ha permesso di guardare, contemplare la vita con speranza, con fiducia. É così che ci siamo riaperti alla vita e sono arrivati altri figli».

Paolo: «Un’altra cosa che ho imparato dalla nostra esperienza con Matteo, e che porteremo sempre dentro di noi, è che ci ha insegnato e ci insegna tuttora a guardare la vita con grande rispetto ed una più grande libertà. La vita può essere “altro” da quello che puoi programmare, è giusto coltivare dei sogni e pianificare al meglio la propria vita ma non bisogna rimanere “schiavi” dei propri sogni. La nostra vita si è trovata di fronte a un bivio, se oggi Matteo fosse qui avrebbe 20 anni. Nel momento in cui se ne è andato, abbiamo intrapreso un’altra strada, che non era certo quella immaginata. Credo però che questa strada non abbia meno valore dell’altra. Matteo per noi è un figlio, ha un volto ed una storia».

Daniela: «A distanza di anni possiamo riconoscere come l’amore dato a Matteo sia davvero tornato a noi, lo viviamo nella nostra famiglia ma anche nella bellissima amicizia che ci lega alle altre famiglie dell’Associazione La Quercia Millenaria. La pace e la ricchezza sperimentate non possiamo tenerle fra noi, è proprio qui che nasce il desiderio di accompagnare altri genitori che si trovano a vivere un’esperienza simile alla nostra».